Quello che i piccoli mi hanno insegnato

Nei miei dieci anni di lavoro nei musei ho sempre considerato il dialogo con i bambini la mia bolla di felicità.

Ho usato il termine “dialogo” e non “visita guidata” con cognizione di causa. Quando porto i bambini a spasso per i musei o le mostre cerco il più possibile di porre loro milioni di domande. Così diventa lampante l’ovvio: loro non hanno bisogno di me, sono io ad aver bisogno di loro.

Mi è capitato tante di quelle volte da averne ormai perso il conto: i bambini vedono con l’occhio del pittore, è fuori discussione. Tra i quattro e i dieci anni un bambino ha molto più chiara la spinta motivazionale di un Mirò o di un Klee dei suoi genitori. Le informazioni aggiuntive da fornire agli adulti a un ragazzino non vanno nemmeno accennate, sono del tutto superflue. Non ho vergogna a dire che, spesso, gli spunti più brillanti che i bambini mi riferiscono durante le visite guidate diventano parte del mio canovaccio e le racconto ai gruppi di adulti. Con i bambini ho imparato sempre più di quanto abbia insegnato. Ricordo ancora la loro rapidità nell’individuare i cavalli e principesse di Kandinskij indicandomeli in un batter d’occhio, mentre i visitatori adulti, quelli “esperti”, una volta transitati sotto un’altra tela, affondavano occhi e occhiali in una ricerca disperata, quasi toccando i dipinti con il naso, attoniti e smarriti, non potendo credere al miracolo. Eppure miracolo non è, anche noi eravamo così alla loro età. Picasso vedeva nell’infanzia l’età d’oro per l’arte e, in fondo, l’artista si muove libero nel mondo della creatività proprio come un bambino.

Trovo nei piccoli visitatori una saggezza unica, inestimabile, un riflesso di qualcosa che va oltre. Il bambino, senza quella visione pregiudiziale che nell’età adulta ci irrigidisce, splende di un ardore che deve andare coltivato. Un adulto davanti a un dipinto è, il più delle volte, un essere umano che si sente sfidato a comprendere. L’arte è una sfida che ci stizzisce, ci colpisce nell’orgoglio: ma come, dovrei capire, eppure non ci riesco! Quando un dipinto non ha quei contorni sicuri della Monna Lisa, la somiglianza rassicurante di un paesaggio toscano, la serenità della Vergine con il bambino, aggrottiamo le sopracciglia, feriti dall’impossibilità di interpretare e indossiamo il meccanismo di difesa del rifiuto.

L’oggetto preferenziale di questo tipo di xenofobia è, senza dubbio, l’arte contemporanea, lo straniero per eccellenza, un prodotto della mente umana che, per sua natura, è sempre forestiera. A uccidere la comunicabilità dell’arte contemporanea tre armi di distruzione sono spesso imbracciate, le tre frasi: “lo potevo fare anch’io”, “questa non è arte”, “che brutto!”. Durante una visita guidata chi le pronuncia uccide il discorso. Non c’è più via di scampo. Chiudere la mente è lasciar agonizzare la conoscenza, e comprendere è la chiave per poter amare l’arte.

A questo proposito, vi svelo un segreto. Spesso, dopo una visita guidata, qualcuno mi ferma e mi dice: «Si vede proprio che … è il suo artista preferito!». A me viene sempre da sorridere perché sovente capita dopo aver spiegato artisti che proprio detesto. Perché però accade ciò?

Ci sono molti artisti che non mi piacciono ma pochissimi artisti che non stimo. Che cosa significa? Che forse non mi metterei mai in casa una riproduzione di Mirò, ma che mi viene la pelle d’oca a leggere la sua intervista in cui spiega come nascono le sue opere. Che sarebbe stupido confrontare Caravaggio con Fontana, ma vi sfido a non entusiasmarvi nel leggere quali altissimi pensieri riposano dietro quei tagli: ricerca, pensiero e intelligenza umana, che è una delle meraviglie più grandi del Creato.

La verità è che non si può amare tutta l’arte, ma si può studiarla e conoscerla. E se conosci qualcosa, difficilmente non te ne innamori. L’amore porta solo cose belle e cancella le tre armi di distruzione sopra citate. Ma c’è di più: nessun bambino ha mai detto, di fronte a me: lo potevo fare anch’io – questa non è arte – che brutto. Al massimo mi è stato detto: «E’ un po’ confuso». Allora il mio compito è chiarire questa confusione e, dissipata la nebbia, tutto va per il meglio.

I bambini accolgono sempre con grande apertura gli insegnamenti e credo che gli adulti dovrebbero imparare molto dai bambini, sia in campo artistico sia nell’attitudine alla conoscenza in generale. La chiave, a mio parere, è far incontrare adulti e bambini al museo, che i grandi indossino le lenti dei piccoli per mettere a fuoco la realtà. Chissà che magari, da loro, imparino l’accoglienza dell’altro, in qualsiasi forma esso si presenti.

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