Breve e disordinata presentazione della rubrica:
Le parole giuste per dirlo, al museo
Valentina Crifò, educatrice museale.
Ecco cosa sono. Non guida turistica (non ho un patentino), non exhibition manager (che ridere, una volta mi presentarono così e la mia faccia si tramutò in un enorme punto di domanda) o altro.
Qualche tempo fa usavo una frase che non mi sentirete più pronunciare con leggerezza, vale a dire: lavoro in un un museo.
Perché?
Perché poi mi accadeva che qualcuno mi mandasse, via WhatsApp, la foto dell’ingresso dell’edificio X con scritto: Ti trovo? Così mi spieghi la mostra!
La gente pensa che il museo mi paghi per galleggiare senza far nulla al suo interno, come un pesce in un acquario e che poi, nel momento in cui qualcuno mi interpelli, io prenda animo e inizi a narrare.
Quello è un altro mestiere, si chiama mediazione museale e, in generale, è uno dei rarissimi casi in cui il museo ti sgancia un contratto a tempo (in)determinato.
In passato l’ho fatto e, se scorro velocemente i ricordi, ne ho più di positivi che di negativi. Tuttavia, per come sono fatta io, essere mediatrice culturale significa restare ancorati a una realtà statica, una collezione sola, a una narrazione che, per quanto varia, è sostanzialmente sempre quella. Usurante, non fa per me!
La mediatrice è stato uno dei tantissimi ruoli che mi sono capitati di svolgere nel mio percorso personale. Ho fatto, in ordine di apparizione: assistente di galleria d’arte contemporanea, stage in ambito di restauro, operatore di sala (sia solo per controllare che nessuno mettesse le dita sui dipinti sia spiegando le opere), vendita di audioguide, biglietteria e addetta alle vendite al bookshop.
Questo elenco mi ha permesso di conoscere molti retroscena della realtà museale e, soprattutto, mi ha offerto una poltrona d’onore per osservare il fenomeno più frustrante dell’esperienza al museo:
il momento del reclamo.
Fermi tuttз! Prima di continuare, ci terrei a puntualizzare che non c’è nulla di sbagliato nell’avanzare rimostranze. Ci sono molte cose che non funzionano entro le mura espositive (caldo eccessivo; luci che vanno dove sa solo dio; percorsi segnalati così male che ti ritrovi a Canicattì; audioguide che si scaricano; didascalie scritte così piccole che manco con la lente d’ingrandimento riesci a leggere il titolo della pala di Gigino delle Bibite Fresche).
Però, signorз, dalla mia poltrona con la vista sulla vastità dell’essere umano che varca la porta d’ingresso oh! se ho udito boiate! OH! Se ho udito pretese basate su false credenze OH! Se avessi un euro per ogni volta che ho sentito pretendere un gratuito per presupposti erronei!
Ma mica son qui per bacchettarvi. Macché! Son qui perché penso che il miglior modo per godere del museo è arrivarci preparatз.
No, non intendo che vi dovete studiare la collezione! Intendo che sarebbe conveniente sapere due o tre cosette basilari sull’organizzazione. Nulla di difficile, eh, solo per evitare di arrabbiarvi per nulla.
Iniziamo dal perché, per esempio, se mi mandate il messaggio: Sono alla mostra di Frida il giorno tal dei tali. Spero di trovarti così mi racconti qualcosa non ha senso.
Il lavoro di educatrice museale, in linea di massima, funziona così:
Sei una partita IVA, alias freelance. No, non sta per partire una filippica sul precariato in ambito culturale. Io non mi vivo la partita IVA come una condanna. Ho sempre detto che, nella definizione di libera professionista, c’è dentro la mia parola preferita: l i b e r a! Ma proseguiamo.
In questo lavoro hai due potenziali tipologie di clienti: la prima è il museo o l’ente mostra. Per loro, metti a disposizione delle date in cui puoi essere chiamata per fare visite guidate o laboratori. Il museo riceve una prenotazione da un gruppo, controlla se sei disponibile, in caso positivo ti assegnano un turno di visita guidata. Tu ti presenti e svolgi il servizio, emetti fattura e ciao.
La seconda tipologia è il tuo parco clienti. Come sapete bene, voi potete godere delle mie ciance in eventi programmati a calendario (in gruppi aggregati e, visto che siete miei clienti, piacevoli e svagati) oppure richiedermi dei servizi personalizzati / dal mio portfolio. Le differenze sono abbastanza ovvie: flessibilità e prezzo.
Quindi, se mi trovi in museo, o mi hai pagata o mi stai vedendo lavorare per qualcunǝ che mi ha pagata. Nel primo caso, sei fortunatǝ! Nel secondo caso, sicuramente ti saluto!
Qualche tempo fa, lo ammetto, quando mi chiedevano ti trovo in museo? mi incazzavo. Mi dicevo: ma come puoi pensare che io stia perennemente in un luogo aggratis? Anni dopo (e svariati esami di coscienza e sedute di autocritica) mi sono resa conto che:
1 – La gente non sa come funziona il mio mestiere
2 – La gente non è minimamente tenuta a fregarsene di come funziona il mio mestiere
Bonus: la gente difficilmente distingue una mostra da un museo, figurarsi se sa come si contrattualizza o no un educatorǝ museale.
Quindi, il modo migliore per evitare errori, è fare una delle cose che mi riesce meglio: narrare.
Questa rubrica nel blog servirà proprio a questo: spiegare tutti i meccanismi museali o espositivi, i ruoli e le implicazioni.
Servirà anche, a me, ad avere un link da girare a chi mi fa domande errate su WhatsApp.

Così mi puoi rispondere “ok, scusa, non sapevo funzionasse così”. Io manderò una emoji feliciotta di risposta.
Secondariamente, troverete le motivazioni per cui, se avanzate determinati reclami, siete voi nel torto. Esempi: quando invocate il gratuito docenti in un museo civico senza avere con voi la classe; quando la prima domenica del mese vi stupite che la mostra si paghi; quando urlate perché sono le 17.05 ma la biglietteria chiude alle 17.00, eccetera.
Lo scopo di tutto ciò? Diffondere consapevolezza delle regole. Se sai una regola, non hai sorprese. Non ti arrabbi perché sai già prima come funziona. Non fai figuracce. Non ti arrabbi. L’ho già scritto? Lo ripeto ma, scusatemi, a me la rabbia al museo lascia sempre scioccobasita. Eh sì, perché, in teoria, la gente va al museo per stare bene. Eppure, nel mio volteggiare tra un ruolo e l’altro, ho visto tante di quelle urla, minacce, facce paonazze e scenate rabbiose che voi non immaginate.
Quindi, facciamo un patto: io mi impegnerò a rimpolpare questa sezione del blog con tutte le informazioni basic per una fruizione ottimale del museo. Voi, da parte vostra, leggerete accuratamente le informazioni prima dell’uso e le diffonderete opportunamente tra з vostrз amicз amantз dell’arte.
E no, non mi trovate nel museo. Al massimo, mi ci volete.
A presto!